Riportiamo, sul problema della casa vissuto in quei bairros, due testimo­nianze significative, una presa da Lettere n. 13 (estate-autunno 1975) e l’altra da Lettere n. 14 (primavera 1976).

Sono esperienze che potrebbero inserirsi come in una pagina della vita di Gandhi, o indicarsi come episodio applicativo del Vangelo vissuto nel popolo.

« Lettere dal Brasile » è uno stampato che usciva senza periodicità stabilita e veniva edito dal Villaggio Scolastico del Quartiere Corea in Livorno.

 

LETTERE N° 13 

Un posto dove abitare

 

                                                                                     Salvador, primavera 1975

 

     Le piogge dell’aprile dell’anno scorso, con le tragiche conseguenze, rimarranno sempre nel nostro ricordo.

     Da più di 11 mesi 117 famiglie vivono, in una situazione disumana, il loro dramma.

     Questo dramma vissuto dai “senza-tetto”, ci ha dato l’occasione di scoprire che i “desabrigados” avevano molti amici; abbiamo scoperto la solidarietà dei poveri e di quelli che veramente sono gli amici dei poveri.

     Gli abitanti dei quartieri della nostra parrocchia, comunità religiose, gruppi di protestanti, studenti, professionisti sono rimasti sempre vicini ai senza-tetto che lottavano alla ricerca di una soluzione al loro problema.

     Se da un lato si sono manifestati gli amici, dall’altro si sono definiti i lontani: le autorità, alla ricerca di soluzioni che potevano salvare la faccia, senza risolvere il problema; i benpensanti che giudicavano i “desabrigados” come persone prive di ini­ziativa e sfaccendati; tutti insomma con la paura di guardare in faccia la realtà e so­prattutto con la paura di volerla affrontare. Infine la grande massa di quelli che non volevano prendere parte, soddisfatti perché avevano aiutato con qualche “elemosi­na”, senza capire però che il problema è molto più profondo.

     Parlando di questo grave problema non si può dimenticare la storia di tutti quel­li che qui in Salvador hanno sofferto e lottato per un posto dove abitare.

   Il problema della casa, che nella città di Salvador oggi ha raggiunto punte di estrema gravità, ha assunto spesso aspetti di calamità pubblica.

   Nel 1940 il popolo emarginato si trovava in difficoltà per l’alto costo della vita, per I bassi salari (quando aveva un impiego, perché è molto forte il tasso di di­soccupazione). La soluzione al problema della casa, ritrovata dalla gente, fu di oc­cupare dei terreni che appartenevano al municipio; si trattava quasi sempre di scar­pate o di avvallamenti acquitrinosi.

   L’occupazione dei terreni — che veniva fatta in tutta fretta, come in fretta veni­vano costruite le baracche per avere anche dal punto di vista giuridico, maggiore sicurezza — non avvenne senza violenza. Con l’intervento della polizia varie occupa­zioni furono represse; si sono registrati anche dei morti.

   Malgrado tutte le forme di repressione, il popolo continuava, però, a cercare dispe­ratamente una pur minima via di uscita ai propri problemi più urgenti.

   Di fronte all’aumento dei prezzi, alla disoccupazione sempre più forte, alla diffi­coltà di trovare alloggio, aumentando il tutto con l’inizio dell’esodo rurale, l’occupazio­ne rappresentava una soluzione di alcuni problemi.

   Alla fine, la resistenza degli “occupanti” aveva il sopravvento sulla pressione del governo e lo stesso governo doveva cedere con la donazione del terreno invaso.

   In questa maniera sono sorti gli “alagados” !

   L’inizio fu nel 1949, quando gli aumenti continui degli affitti provocarono l’esodo dei poveri dai quartieri del centro e l’avventura che tutti noi conosciamo.

   In un primo momento, in maniera timida, poi con sempre maggiore sicurezza, gli emarginati cercarono un posto nell’acqua, costruendo le “palafitte”, dato che non era loro consentito di avere un pezzo di terra.

   Anche questa volta la storia registra la violenza della polizia: ci furono morti e feriti tra gli occupanti. Alla fine il governo dovette cedere davanti all’azione di rivolta del popolo e lasciare gli abitanti tranquilli nelle proprie “case” .

 

 

Il dramma delle inondazioni

 

   Le case dei poveri in Salvador, costruite col fango, col legno, sulle scarpate, sono soggette ad un problema permanente. Le forti piogge, che periodicamente si abbat­tono su questa città, mettono a nudo la fragilità delle baracche che, invase da acque, cadono per lo smottamento, causando morti e lasciando centinaia di famiglie senza tetto.

   Evidentemente, la causa di tutto questo, se da un lato si deve alla situazione geografica di Salvador, col suo terreno collinoso, dall’altro e soprattutto, è dovuta al fatto che le condizioni di vita sub-umane della popolazione povera, gli stipendi bassi, la disoccupazione, la sottoccupazione, l’assurdo costo della vita, non permettono di costruire case sicure e in luoghi adatti.

   Nell’ultimo decennio questi fatti si sono ripetuti in continuità.

   Noi ricordiamo le piogge del 1966, del 1971 (che provocarono, solo nella nostra parrocchia, 52 morti). Dopo queste tragedie, malgrado i ripetuti appelli alle autorità, non furono prese iniziative per tentare di risolvere il problema delle scarpate.

   Tutto, come sempre, fu dimenticato.

     Il 29 aprile 1974 si è ripetuto lo stesso problema. Le piogge si abbatterono sul­la città, provocando smottamenti, allagamenti e, come conseguenza, centinaia di fa­miglie rimasero senza tetto.

     In Bom, ci furono sei morti.

     I “desabrigados” si recarono, il giorno dopo la tragedia, in commissione com­posta da 60 persone, dal sindaco perché aprisse una scuola per “ospitare” provviso­riamente i senza tetto.

In un primo momento il sindaco tentò di non ricevere la commissione, ma di fron­te alla insistenza di tanta gente, accettò di ascoltare e finalmente cedette, ordinando che fosse aperta la Scuola Municipale “Prazeres Calmon” .

   125 famiglie trovarono così un “alloggio”. 125 famiglie in nove aule!!!

   In un’aula normale di scuola erano “ospitate” fino a 23 famiglie...

   Altre famiglie furono raccolte in una scuola di Capelinha, in un vecchio barac­cone delle ferrovie e nelle dipendenze di un vecchio aereoporto.

   Una settimana dopo, le famiglie che erano state ospitate nel vecchio aereoporto, ricevettero da un ufficio governativo un aiuto in denaro (da Cr. 400,00 a Cr. 1.300,00 = da Lit. 40.000 a Lit. 130.000) e furono obbligate a lasciare il locale con minacce di questo tipo: “se non ve ne andate subito, chiameremo i pompieri che vi sloggeranno con gli idranti”.

   Molte famiglie ritornarono negli stessi posti dove prima abitavano, nelle case condannate.

   Di fronte a questo fatto gli altri “desabrigados” presero coscienza del pericolo che esisteva: la minaccia di essere buttati fuori dai vari rifugi, come era stato fatto con quelli raccolti nell’aereoporto.

   Si unirono in commissione e decisero di fare un nuovo appello al sindaco perché risolvesse la situazione nell’unica maniera possibile, la donazione di un terreno per­ché ognuno potesse costruire la propria casa.

   L’appello fu firmato da quasi tutti i “desabrigados” e contò sulla solidarietà del­la gente della parrocchia (in un giorno furono raccolte 2.000 firme!), di studenti, re­ligiosi, professionisti.

   Il 10 maggio il sindaco ricevette la commissione dei senza tetto e promise che avrebbe risolto in modo umano il grave problema, dando un terreno a chi aveva già una casa, mentre avrebbe dato tre mesi di affitto agli altri che prima abitavano in case d’affitto. Promise anche che avrebbe riunito i senza tetto in locali adatti, men­tre veniva procurato il terreno dove costruire le case in condizioni di sicurezza.

   Nel frattempo, la situazione nella scuola Prazeres Calmon e negli altri locali dove erano raccolti i “desabrigados “ divenne sempre più difficile.

   I servizi igienici erano fuori uso; molti bambini, soprattutto i più piccoli, erano febbricitanti, con dissenteria e vomito.

   La mancanza di alimentazione, l’assenza di assistenza medica e sociale, in una situazione di promiscuità, davano inizio ad una tragica e dolorosa via crucis.

   Malgrado le promesse del sindaco, la situazione continuava inalterata.

   Le assisten­ti sociali del Municipio dicevano di non conoscere quello che il sindaco aveva pro­messo e che l’unica soluzione era che ogni famiglia ricevesse Cr. 210,00 per tre mesi di affitto (quando in media l’affitto di una casa modesta è di Cr. 300,00 al me­se = Lit. 30.000... Lo stipendio base corrisponde a Cr. 300,00!!!).

   Alla fine di maggio, un clima di tensione si abbatté sui senza-tetto.

   Le assistenti sociali avvertirono che entro tre giorni i vari locali dovevano essere abbandonati e se i “desabrigados” non avessero lasciato le scuole e il baraccone, sarebbe intervenuta la polizia.

   Di fronte ad una decisione così disumana, i senza-tetto dichiararono ai giornali che non sarebbero usciti dalle scuole neppure con la polizia e che, nel caso di un intervento, avrebbe posto i bambini come scudo.

   Il segretario di Sanità del municipio, di fronte alla fermezza della gente dichiarò ai giornali che la colpa di tutto era dei religiosi della parrocchia di N.S. di Guada­lupe, perché incitavano i senza-tetto a non accettare di uscire dalle scuole con le condizioni proposte dal municipio (cioè, 210,00 Cr. = Lit 21.000 per tre mesi di affitto...). L’attacco del segretario, che si sentiva frustrato di fronte alla resisten­za della gente che non accettava la “soluzione” presentata, provocò un’ondata di proteste sui giornali, da parte di alcuni sacerdoti, di gente del popolo e degli stessi   “desabrigados “.

   La reazione dei ”desabrigados” e dell’opinione pubblica prevalsero. Il 29 mag­gio le assistenti sociali tornando nella scuola Prazeres Calmon, si mostrarono gentili e comprensive. La minaccia di espulsione non si realizzò. Alla fine di maggio era regi­strata la morte del primo dei 7 bambini deceduti durante la permanenza dei senza-tetto nella scuola .La situazione diventava sempre più tragica.

   Il 10 giugno, di sera, le assistenti sociali del municipio, arrivarono nella scuola improvvisamente con l’ordine di abbandono immediato del locale. Alcune famiglie prese alla sprovvista e disperate accettarono il misero aiuto finanziario offerto af­fermando che “qualsiasi cosa era migliore che morire di stenti nella scuola “.

   Alla fine di giugno, dopo la ritirata di un buon numero di famiglie dai locali, la situazione si presentava così: nella scuola Juraci Magalhaes (Capelinha) 33 famiglie con 188 persone presenti di cui 120 minori di 15 anni; nella scuola Prazeres Calmon, 93 famiglie con 514 persone presenti, di cui 331 minori di 15 anni; nel baraccone delle ferrovie, 38 famiglie, con 166 persone presenti di cui 107 minori di 15 anni.

   Il ritardo da parte delle autorità di presentare una soluzione, le malattie, l’aggra­varsi dei problemi provocati dalla convivenza in quella situazione, la mancanza asso­luta di igiene, la paura sempre presente di una possibile espulsione dai locali, non facevano che rendere ancor più drammatica l’attesa dei senza-tetto.

   Finalmente ,il 15 di agosto uscì sul Diario Official una ordinanza del sindaco che do­nava ai “desabrigados” un terreno vicino all’aereoporto.

   Con questa donazione però non finivano i problemi. lì terreno localizzato lontano dalla città, la difficoltà dei mezzi pubblici di trasporto, non aiutavano certo le perso­ne, in particolare quelle con un lavoro in città. Molte donne erano lavandaie e l’abi­tare quasi in centro città aiutava un po’ a trovare qualcosa da fare... Le preoccupa­zioni non finivano lì. Quali erano le condizioni del terreno donato? Quando e come sarebbe stato consegnato?...

   Fino al 15 di agosto erano già morti 5 bambini.

All’inizio di settembre i giornali davano la notizia che nella scuola Prazeres CaI­mon era iniziata una epidemia di morbillo, con più di 20 bambini colpiti, alcuni in stato grave (il morbillo qui diventa una malattia mortale per il fatto che trova orga­nismi già deperiti e incapaci di reagire alle conseguenze).

   Dopo la denuncia, un medico del municipio fece una visita ai “ desabrigados”: prescrisse alcune medicine, che la maggior parte delle famiglie non poteva comprare per mancanza di soldi, e promise di tornare.., ma non si fece più vivo!

   Il fatto culminò con la morte di una bambina di due anni e mezzo.

In questa situazione, premuti dall’urgenza di una soluzione, i senza-tetto fe­cero un nuovo appello al sindaco. Chiedevano che tenesse in considerazione le con­dizioni finanziarie già misere e che ora erano state scosse dalla catastrofe, la situa­zione precaria vissuta in quei cinque mesi.., e che ordinasse quanto prima la costru­zione di case.

   Il sindaco ricevette la commissione il 1° ottobre. Confermò la donazione del ter­reno, ma ricusò la costruzione di case.

   Un altro appello in favore dei “desabrigados”, perché fossero costruite le case dal municipio, fu fatto dalla gente del quartiere di Fazenda Grande, appoggiato da studenti, religiosi e professionisti...

   Questa volta il sindaco, ricevendo la commissione alla fine di dicembre, disse che non disponeva di stanziamenti per la costruzione delle case e che comunque non poteva deviarli per tale fine, perché se avesse fatto una cosa di questo genere poteva finire in prigione. Dichiarò che non spettava al Municipio preoccuparsi di questo problema e che il venire incontro alle esigenze delle famiglie dei senza-tetto sarebbe stato segno di paternalismo politico.

   A questo punto, la situazione già carica di tensione veniva aggravata perché le assistenti sociali del Municipio, dalla lista ufficiale dei senza-tetto che avrebbero ri­cevuto il terreno, avevano escluso 16 famiglie.

   Altri appelli, altre proteste sulla stampa e finalmente, dopo due mesi, il sindaco considerava senza valore la lista preparata dai funzionari del Municipio e ne accet­tava un’altra preparata dalla Parrocchia.

   Malgrado tutte le difficoltà, e la percezione sempre crescente che le autorità vo­levano vincerli con la stanchezza, i “desabrigados” continuarono a rimanere nella scuola e nel baraccone delle ferrovie, consci che la loro presenza era un atto di ac­cusa alle autorità e una spina nel fianco.

   Nel mese di gennaio, agli appelli dei senza-tetto, della gente del quartiere, degli studenti, si unì un gruppo di architetti che propose al sindaco un progetto di costruzione delle case.

   Dopo tante insistenze, il sindaco cedette e i primi di marzo (15 giorni prima di lasciare l’incarico) dava inizio ai lavori.

   Sembrava finalmente che la via crucis stesse per finire: dopo 11 mesi di soffe­renze i “desabrigados” avrebbero ricevuto la sospirata casa!

   Quando il 19 marzo un gruppo di senza-tetto si recò sul terreno per la lega­lizzazione della proprietà, furono colti da sorpresa e ribellione: il terreno era acquitri­noso (dichiarazioni di gente del posto dicevano che nella stagione delle piogge veniva totalmente allagato); le case in costruzione erano di 7m x 2,50m ! Ma la cosa più terribile era che mentre in un primo progetto ogni famiglia avrebbe ricevuto un ter­reno di 12 m x 15 m per poter ampliare la casetta e utilizzare il resto come orto, adesso il terreno era ridotto a 60 metri quadrati, il che non offriva assoluta­mente condizioni di ampliamento. Per finire questo triste quadro, venivano costruite solo 80 case, quando le famiglie dei “desabrigados” sono 117!

   Nel momento in cui scriviamo — particolarmente delicato per il cambiamento di governo nel municipio e nello stato, l’azione dei senza-tetto è di mobilitare le nuo­ve autorità, perché si decidano a dare una soluzione definitiva e umana a questi gravi problemi.

   Quanto tempo dovrà ancora durare la via crucis dei “desabrigados” ?

   A questa domanda nessuno sa dare una risposta. Solo una buona dose di testar­daggine ci aiuta a continuare in questa lotta.

 

* * *

 

 

 

 

   Il problema della casa di Salvador, aggravato dalla situazione dei “desabriga­dos” tornò alla ribalta negli ultimi mesi.

   In agosto accompagnammo con apprensione il dramma di decine di famiglie che non trovando un posto dove abitare, invasero un terreno del municipio. La polizia in­tervenne in maniera brutale e le case furono demolite.

   Negli ultimi mesi dello scorso anno un’altra invasione di grandi proporzioni comin­ciò in un terreno confinante con Fazenda Grande.

   Ai primi di marzo, in un terreno incolto di Fazenda Grande, si verificò una nuova invasione.

   Più di duecento famiglie iniziarono la pulizia e la limitazione del terreno, e la co­struzione di rudimentali baracche.

   La polizia, ancora una volta intervenne con la consueta brutalità.., ma l’invasio­ne continuò!!! Dopo l’intervento della polizia, “gli invasori “ tornarono sul luogo e ri­cominciarono i lavori.

   Sempre a Fazenda Grande, cominciò un’altra invasione. Questa volta l’intervento della polizia fu particolarmente brutale e disumano.

   La gente che stava cominciando i lavori fu sorpresa dalla violenza dei tutori dell’ordine: uomini indifesi, donne incinte e bambini furono bastonati e presi a calci.

   Adesso la situazione è di attesa.

   Un invasore, un giovane che guadagna 240,00 Cr. al mese (= Lit. 24.000) diceva che avrebbe di nuovo tentato, perché tutti hanno diritto ad un pezzo di terra dove poter costruire un “barracco”.

 

* * *

 

 

 

   Da alcuni giorni le piogge hanno cominciato di nuovo a cadere sulla città... Ci sarà una nuova tragedia?

 

   Per i “desabrigados” dell’aprile ‘74 ci sarà una soluzione che ripaghi tanti mesi di angustia, di malattia, di fame e di disperazione...?

 

Quale sarà il loro futuro...? e quello degli occupanti. ?

 

PAOLO TONUCCI

 

*****

 

 

LETTERE N° 14 

 

 

Nei primi mesi del 1976, in un quartiere della periferia di Salvador, parte della parrocchia in cui lavorava Don Paolo, si svolse un episodio di lotta popolare, per il diritto alla casa, da parte di un gruppo di senzatetto, che avevano occupato un terreno di proprietà del comune. Minacciati di espulsione da quella zona, gli abitanti del Marotinho opposero una resistenza pacifica ma ferma e organizzata. Paolo fu presente nella lotta, animando gli abitanti del Marotinho e suscitando l’interesse di vari gruppi di persone influenti alla vicenda. Per il ruolo da lui svolto in questo episodio, le autorità brasiliane gli rifiutarono la cittadinanza. La lettura di queste pagine, redatte subito dopo i fatti da Paolo stesso, sono utili per capire alcune allusioni che si trovano in altri documenti di questo libro.

 

 

Il dramma del Marotinho

 

 

Salvador - marzo 1976

 

 OPINIAO                                                    

 CANTO Dl RIVOLTA 

 

Podem me prender, podem me bater... podem até deixar-me sem comer;

que eu nao mudo de opiniao

daqui do morro eu riao saio nao.

Se nao tem égua, eu furo um poço.

Se nao tem carne, eu compro um osso

e ponho na sopa... e deixa andar.

Falem de mim quem quiser falar.

Aqui eu nao pago alugue!

Se eu morrer ahanha, seu doctor

estou pertinho do ceu.

Podem me prender, podem me bater podem até deixar-me sem comer.

Que eu nao mudo de opiniao

daqui do morro eu nao saio nao.

Possono arrestarmi, possono picchiarmi... possono lasciarmi anche senza mangiare; ma io non cambio la mia decisione: 

da qui, dal morro “, io non vado via.

Se non c’è acqua, io scavo un pozzo.

Se non c’è carne, io compro un osso

e lo metto nel brodo.., e lascio correre. Parli di me chi vuoI parlare.

Qui non pago l’affitto!

E se domani io muoio, signor dottore, sono già vicino al cielo.

Possono arrestarmi, possono picchiarmi... possono lasciarmi anche senza mangiare, ma io non cambio la mia decisione;

da qui, dal ”morro io non vado via.

 

Eravamo riuniti in casa di Natanael per festeggiare il suo 3I° compleanno. Molti, che vivevano nell’ “ invasione “, si erano dati appuntamento per passare un sabato sera un po’ allegro. Non certo molto allegro però, perché pesava su tutti la minac­cia di espulsione dal terreno che avevano occupato “abusivamente” per costruire le loro case.

 

Dopo la presentazione dei regali (il corredino per l’ottavo figlio che la sposa di Natanael stava aspettando per quei giorni) eravamo passati alla danza e ai canti. Edna, una cartomante, che era stata scelta dalla comunità come maestra della scuola ele­mentare in costruzione (di taipa, naturalmente), cominciò a cantarellare il samba ”opiniao”. Tutti sentirono che quel samba, composto per ricordare la resistenza dei “favelados” di Rio de Janeiro al “piano” del governo che aveva deciso di demolire le favelas per rendere turisticamente più bella la città, esprimeva esattamente la stessa esperienza e decisione.

 

“Opiniao” fu subito scelto come inno ufficiale da quegli uomini che da circa un anno stavano lottando per avere un pezzo di terra dove abitare. Quando cantavano “da qui, dal morro io non vado via..,”, molti avevano le lacrime agli occhi. Erano ferma­mente decisi a resistere e a difendere il proprio diritto ad una casa, ma sapevano che la lotta non sarebbe stata facile. Contro la loro determinazione di “rimanere”, c’era infatti la decisione del sindaco di buttarli fuori. Di fronte al loro desiderio di vedere rispettato il diritto alla casa, sia pure poverissima, c’erano gli interessi economici dei “grandi” .

 

 

 

Cosa è l’invasione e come è sorta

Fin dal 1940. la popolazione emarginata di Salvador, in difficoltà per l’alto costo della vita e degli affitti e per i bassi salari, cerca di dare una soluzione al problema dell’abitazione occupando terreni abbandonati, di proprietà pubblica, situati sempre lungo scarpate o in avvallamenti acquitrinosi.

   L’occupazione di questi terreni, avviene generalmente in fretta e furia, come in fretta vengono costruite le baracche, per avere, dal punto di vista giuridico, maggiore garanzia, anche perché una povera casa già costruita, a volte durante una sola notte, c’è più speranza che la polizia la rispetti. 

   Varie occupazioni furono infatti represse con l’intervento della polizia, registrando anche dei morti.

   Molte volte la resistenza degli . occupanti ebbe il sopravvento sulla pressione del governo, per cui questi dovette cedere donando il terreno invaso. Si era così creata una specie di giurisprudenza sociale: una occupazione . illegale ~, una volta realiz­zata, diventava definitiva. Ciò avveniva, quasi sempre, fino a dodici anni fa, fino quando cioè i governi, pur rappresentando gli interessi dei ricchi dell’interno e della città, eb­bero bisogno del voto popolare nell’epoca delle elezioni.

   Attualmente i sindaci delle capitali e i governatori sono nominati di autorità dal Presidente della Repubblica (nominato a sua volta dalle Forze Armate) e perciò non c’è più bisogno di accattivarsi la simpatia dei poveri attraverso scelte demagogiche.

   Malgrado tutte le forme di pressione, Il popolo continuerà però a cercare sempre, disperatamente, una via d’uscita, sia pure provvisoria, ai suoi problemi più urgenti.

   Di fronte all’aumento dei prezzi, alla disoccupazione sempre più estesa, alla diffi­coltà di trovare un alloggio, aggravandosi il tutto con l’esodo rurale e la conseguente massiccia immigrazione dai campi alla città, l’occupazione dei terreni (“invasione “) rappresenta molte volte l’unica via d’uscita.

   È evidente che il problema delle invasioni  non può essere considerato fuori di un contesto più ampio per il fatto che non si tratta solo di un problema urbano. È un problema nazionale in stretta relazione con questioni basilari, quali il problema agra­rio, il modello di sviluppo, l’occupazione e anche la legislazione sulla proprietà che permetta un uso migliore del suolo.

   La crisi urbana brasiliana porterà a risultati esplosivi. La soluzione del problema è impossibile dentro gli attuali presupposti giuridici e politici che risultano dal mo­dello economico brasiliano, preoccupato di accumulare i beni in mano di pochi a sca­pito della maggioranza. Oltre alla necessità di un nuovo modello economico che miri più ad una migliore distribuzione e meno alla grandezza apparente (in beneficio solo di alcuni), sarà necessaria una nuova coscienza, una nuova politica urbana che abbia alla base il principio che la città è un bene di tutti in vista del futuro e non può quindi esser monopolizzata da alcuni, né depredata dalla generazione di oggi.

   L”invasione” continua ad essere così il tentativo disperato dei settori più poveri della popolazione per assicurarsi un rifugio, anche se precario e instabile.

In questa maniera sono sorti gli “ alagados” e molti quartieri periferici di Sal­vador, tra cui quasi tutta la parrocchia di Nossa Senhora di Guadalupe, dove opera la nostra comunità di preti e laici italiani.

   E così stava nascendo anche il bairro della Baixa do Marotinho. Questa zona si trova in una piccola valle tra le colline di Fazenda Grande e Sao Caetano sempre nell’area della parrocchia di N.S. de Guadalupe. L’acqua per bere e per lavare è tratta da cinque fonti scavate dalle stesse persone che hanno occupato la Baixa “.

In mezzo alla valle passa un rigagnolo alimentato dalle acque piovane e dagli “scoli” provenienti dai due quartieri sovrastanti (è utile ricordare che non esiste in Salvador una vera rete di fogne...).

   Questo fiumiciattolo corre verso Bom Juà, altro quartiere molto povero e popo­loso e, nell’epoca delle piogge (aprile-giugno), è il responsabile delle piene annuali che provocano spesso inondazioni con morti, e la conseguente perdita della casa da parte di tante famiglie.

   Oltre al cattivo odore, il fiumiciattolo trasmette ogni specie di malattie nei bam­bini che ci giocano tutto il giorno.

   Quando piove, il rigagnolo ingrossa e straripa, inondando le case costruite sui margini.

   Questo terreno, di proprietà del municipio, completamente abbandonato, coperto di una fitta vegetazione, era diventato un covo di ladri, che vi nascondevano la refurtiva, e di drogati. Gli abitanti dei quartieri vicini avevano paura a passare da quella zona.

   L’occupazione abusiva della Baixa do Marotinho cominciò all’inizio di marzo del 1975. Le prime abitazioni, una ventina di baracche, furono costruite nella parte più alta del terreno, perché considerata la più adatta per non essere raggiunta dalle inonda­zioni del rigagnolo, anche se di fatto il terreno è ugualmente pericoloso; la scarpata infatti è molto ripida e nella stagione delle piogge c’è la possibilità di smottamento, tanto più che tutta la zona è terra di riporto.

   In questo periodo arrivarono alcuni funzionari del municipio avvisando gli  inva­sori che ”non potevano occupare la parte più a monte perché i lotti erano stati dati dal municipio ai suoi funzionari”.   Quando Josè racconta il dramma vissuto da lui e dagli altri per difendere il pezzetto di terra dove costruire la casa, preparato con tanto sacrificio, si commuove. Dove costruì la casa (una baracca fatta di tavole messe insieme alla meno peggio), prima c’era un grosso albero. Dopo otto giorni di lavoro per abbattere l’albero e preparare il terreno, con i bambini e la moglie, all’aperto, sotto la pioggia, Josè riuscì a costruire la baracca, nella quale passò ad abitare il 12 marzo 1975. In quell’epoca venne la polizia per distruggere le baracche in costru­zione, che già erano più di 30, però io ero l’unico che avevo terminato il lavoro”.

   Josè ricorda l’episodio: guarda i suoi nove figli e la moglie che sta aspettando il decimo, e comincia a piangere: “Un giorno, di martedì, ai primi di aprile, stavo facendo un lavoro in Sao Caetano per portare a casa il pane per i miei bambini. Arrivò all’im­provviso una delle mie bambine dicendo: babbo, è arrivata la polizia... ‘~. Quando arri­vai, i funzionari del municipio mi dissero che dovevo far uscire tutti di casa perché l’avrebbero demolita. Disperato, chiesi che mi dessero il permesso di togliere io stesso le tegole, perché così potevo salvare qualcosa, e allo stesso tempo imploravo perché avessero compassione dei miei figlioli. Ma mi risposero che obbedivano a ordini su­periori. Allora avevo nove figli, uno dei quali di tre mesi”.

   Josè insistette tanto che i funzionari decisero di non distruggere la sua casa, men­tre continuavano a demolire le altre baracche in costruzione.

   Il giorno dopo, mercoledì, tornarono per distruggere le poche case rimaste in piedi.

Ritornarono di nuovo dopo un mese, questa volta con l’altoparlante, ma ormai il nu­mero delle abitazioni era molto aumentato e la gente aveva imparato una forma dl re­sistenza e di difesa contro l’azione delle autorità: appena terminata la costruzione pas­sava subito ad abitarci. Minacciarono di tornare con una ruspa, ma non tornarono più.

 

 

L’ ” invasione” cresce malgrado le minacce

 

All’inizio di luglio, una donna e due uomini vennero nell’ invasione e, dichiaran­dosi funzionari del municipio, presero il nome di tutti quelli che avevano occupato il terreno e costruito la propria baracca. Dicevano che i nomi sarebbero serviti al sin­daco che voleva urbanizzare e legalizzare il terreno, vendendolo agli stessi ”invasori”.


“Noi, con la speranza di avere una casa in regola, abbiamo dato i nostri nomi e lo dettero anche quelli che ancora non avevano finito di costruire la casa”. Il totale fu di 153 persone. “Ma invece di regolarizzare la situazione del terreno, si servirono dei nomi per denunciarci!”

Nello spazio riservato al Tribunale di Giustizia nella Gazzetta Ufficiale del 25 di­cembre 1975, uscì una nota del giudice con l’intimazione a 153 persone e altri scono­sciuti, rei di essersi appropriati di un terreno del municipio, localizzato nella Baixa do Marotinho, di sloggiare entro 30 giorni, I colpevoli avrebbero potuto presentare la loro difesa, ma l’azione giudiziale già permetteva alla parte lesa (il municipio di Salvador) di esigere, anche con la forza, la restituzione della proprietà e distruggere le case ivi costruite abusivamente. Bastava solo un semplice ordine del giudice per usare la

“forza pubblica”.

In questa situazione di costante insicurezza, gli abitanti della Baixa do Marotinho (ormai più di 300 famiglie) stavano imparando che solo nell’unione potevano trovare il coraggio per continuare a lottare. Qgni settimana si riunivano perciò in assemblea per dibattere sugli eventuali problemi della comunità e per portare avanti la lotta in di­fesa di un posto dove abitare.

La prima iniziativa, che mostrò il desiderio di formare una vera comunità, fu l’ini­zio della costruzione della sede dell’associazione degli abitanti della Baixa do Maro­tinho. Costruzione di una sala che sarebbe servita per le assemblee e per la scuola dei bambini. Una costruzione fatta da loro stessi con sacrificio e portata avanti malgrado le minacce di distruzione del quartiere.

In data 1” gennaio scrissero una lettera al sindaco. ” Noi abbiamo bisogno - di­cevano - del terreno che abbiamo occupato. Non lo vogliamo gratis, lo vogliamo com­prare secondo le nostre possibilità. Siamo stati costretti a invadere perché non siamo in condizione di pagare una casa di affitto. Quello che guadagniamo non basta per man­giare, ancor meno per pagare la casa. Il costo della vita aumenta ogni giorno... Abbiamo patito la fame per costruire le nostre baracche e adesso siamo minacciati di rimanere senza tetto, con moglie e figli sulla strada. Sappiamo che la legge è con il municipio, ma crediamo che l’uomo è superiore alla legge”..

La risposta del sindaco non si fece attendere: ripeté la ferma decisione di but­tare fuori gli invasori, insensibile ai problemi che stavano all’origine delle occupa­zioni dei terreni. Mostrando di non avere voluto capire la frase ”l’uomo è superiore alla legge”   dichiarò davanti ai giornalisti: Se gli uomini sono superiori alla legge, chi sarà sotto le leggi?... gli animali?.....”

Consci che il problema non era solo giuridico, ma eminentemente sociale e poli­tico, gli abitanti della Baixa do Marotinho si scelsero un avvocato di difesa, attraverso l’Assistenza Giuridica Gratuita, e si dettero da fare perché l’opinione pubblica appog­giasse la loro richiesta e il diritto ad un posto dove abitare. Durante i mesi di gennaio e febbraio, i giornali cittadini dedicarono una particolare attenzione al problema umano e sociale vissuto dagli “ invasori”.

Nel frattempo un gruppo di tecnici, sempre in collaborazione con gli abitanti della Baixa, fece una ricerca socio-economica per preparare un documento da presentare al sindaco da parte dell’avvocato.

 

 

Chi sono gli “ invasori “?

 

Nel tempo in cui fu fatta la ricerca (gennaio 1976) vivevano nella Baixa do Maro­tinho 234 famiglie per complessive 1272 persone.

Più del 50% degli abitanti hanno un’età inferiore a 14 anni (675). lì grado di istruzione dei capi-famiglia è molto basso: su 234, solo 21 sono riusciti ad andare oltre il corso primario; circa 138 non sono riusciti neppure a termine le elementari e, di que­sti, 59 sono completamente analfabeti.

 

   Il 70% dei capi-famiglia ha un lavoro stabile. Ma quale il reddito familiare...?:

35 famiglie (il 15%) arrivano a mezzo salario minimo mensile (=Lit. 14.000);

93 famiglie (il 40%) percepiscono da mezzo a un salario minimo mensile (=Lit.28.000);

75 famiglie (il 32%) da uno a due salari minimi (=Lit. 56.000):

21 famiglie (il 9%) da due a tre salari minimi(=Lit. 84.000);

solo 10 famiglie (il 4%)più di tre salari minimi (=Lit 98.000).

 

Questi dati presentano un quadro gravissimo e inaccettabile di emarginazione economica e sociale, che purtroppo non è un fenomeno isolato.

Per comprendere ancora meglio la situazione di disagio è utile vedere l’oscilla­zione dei prezzi di alcuni generi di prima necessità:

 

 

 

                                                     Un mese fa i prezzi             In questa settimana 15-21
                                                    erano questi:                       marzo 1976 i prezzi sono
                                                                                               questi:

 

zucchero (1 kg)                            Cr.  2,50  (200 Lit.)               Cr.  3,20  (260 Lit.)
riso (1 kg)                                    »    5,30  (440)                     »     5,30  (440)
insalata (1 kg)                              »    1,00  (80)                       »     1,20  (100)
olio d’oliva (latta media)               »   18,50  (1.540)                  »   21,30  (1.770)
patate (1 kg)                                »    3,00  (250)                     »     4,70  (390)
caffè (1 kg)                                  »   33,20  (2.760)                  »   33,20  (2.760)
carne fresca (1 kg)                       »   18,00  (1.500)                  »   18,00  (1.500)
salsiccia (1 kg)                             »   24,00  (2.000)                  »   34,00  (2.830)
cipolle (1 kg)                                »    4,40  (360)                     »     6,50  (540)
carote (1 kg)                                »    6,40  (530)                     »   13,00  (1.080)
fagioli (1 kg)                                »    5,80  (480)                     »   12,50  (1.040)
farina di mandioca (1 kg)              »    5,50  (450)                     »     6,00  (500)
latte in polvere (latta piccola)        »   10,50  (870)                     »   10,90  (900)
burro (1 kg)                                  »   19,00  (1.580)                  »   22,60  (1.880)
pasta (500 gr)                              »    3,50  (290)                     »     3,95  (320)
uova (12)                                     »    5,70  (470)                     »     7,50  (620)
pesce congelato (1 kg)                 »    6,20  (510)                     »   15,00  (1.250)
pane (1 kg)                                  »    4,40  (360)                     »     4,40  (360)
lardo (1 kg)                                  »    8,80  (730)                     »   12,00  (1.000)
pomodori (1 kg)                           »    3,50  (290)                     »     4,70  (390)

 

(da Jornal da Bahia del 16 gennaio 1976)

 

e il salario minimo è a 417,00 (= lit. 34.750).

Le 234 case hanno un’area che non supera in media i 20 m2; 211 case ( il 90%) non hanno nessun tipo di installazione sanitaria.

Non esiste acqua corrente, luce elettrica, fognature. L’accesso al locale è difficile e pericoloso. Piccoli rigagnoli trasportano in basso gli scarichi delle case costruite più a monte. I bambini convivono con porci e altri animali domestici.

lì fatto che queste famiglie vivono in baracche di taipa (legno e fango), costruite in maniera precaria, in condizioni fisiche e sociali inferiori a quella che dovrebbe es­sere la condizione umana normale, rende spontanea la domanda: · che cosa ha spinto queste famiglie a cercare in tal modo una soluzione al proprio problema abitaziona­le...? .. 145 famiglie (il 62%) hanno risposto che è stata l’impossibilità di pagare l’af­fitto; 20 famiglie (il 9%) che erano state sfrattate; 19 famiglie (18%) che erano senza tetto. Possiamo perciò dire che le famiglie non hanno fatto una scelta libera, ma sono state spinte verso la Baixa do Marotinho dalla impossibilità di far fronte ai costi degli affitti in continuo aumento.

Dichiarava Wilson:   Quando cominciò I’ invasione io dovevo al padrone due mesi di affitto. Mi son messo d’accordo con mia moglie, abbiamo fissato il posto e co­minciato la lotta. lo lottando per guadagnare il pane dei bambini, lei coi bambini co­struendo la casa. Oggi in questa baracca mi pare di essere in cielo “. Wilson, 32 anni, è muratore, non ha un lavoro fisso. La sua venuta nel Marotinho permise di portare più pane sulla tavola, “ l’affitto toglieva il cibo ai bambini “.

 

 

Alla ricerca di una soluzione umana...

 

Conoscendo la situazione gravissima in cui stavano vivendo gli invasori, il Club di Ingegneria e l’istituto degli Architetti, ai primi di febbraio, con una lettera al sin­daco, si posero a disposizione del municipio per cercare insieme una soluzione umana al problema.

Anche gli studenti di diritto dell’Università Federale, ponendosi al fianco degli abi­tanti della Baixa, in una lettera al sindaco, dettero una lezione di buon senso: “ non servirà a niente espellere i baraccati senza offrire un’alternativa dove possano abitare, perché dovranno, necessariamente, costruire poi altre baracche altrove”.

Appoggiato dalle lettere del Club di Ingegneria, dell’Istituto di Architettura e de­gli studenti, l’avvocato degli invasori si incontrò il 13 febbraio con il sindaco. Fu un dialogo faticoso; durante due ore, alla presenza dei giornalisti, l’avvocato cercò in tutte le maniere di sensibilizzare il sindaco sul problema di tante famiglie minacciate di rimanere senza tetto da un giorno all’altro. li sindaco, dicendosi cosciente della si­tuazione di estrema gravità in cui vivevano gli abitanti della Baixa do Marotinho, af­fermò che - ... dalla ricerca fatta, risulta trattarsi di famiglie in un certo senso integrate nella società e nel sistema produttivo, perciò è giusta la nostra posizione di non dare un trattamento preferenziale a quelli che invadono con la forza un terreno altrui per ri­solvere il problema della casa che tutti sanno, non riguarda solo 200-300 famiglie, ma migliaia. Se permettiamo che queste famiglie, che hanno invaso il terreno, rimangano, faremmo un’ingiustizia alle altre migliaia che si trovano in situazione economica uguale o peggiore “.

Di fronte alla previsione che l’espulsione degli invasori non risolverà il pro­blema perché essi cercheranno di invadere un’altra area, provocando nuovi problemi, forse ancor più gravi, il sindaco disse: Se mi domando dove andranno le famiglie espulse dal Marotinho, posso dire solo che torneranno nella situazione uguale a quella in cui si trovavano prima di invadere il terreno che non appartiene loro…”.

Di fronte alla insensibilità del sindaco, gli abitanti della Baixa non si dettero per vinti e continuarono a lanciare appelli... Andarono dai governatore, che non li rice­vette, e dal Cardinale Arcivescovo, che promise di parlare con il sindaco. Nel loro ap­pello chiedevano che il Governatore e il Cardinale intercedessero presso il sindaco che ha il cuore di pietra, perché abbia compassione dei nostri figli...” . Dicendo che avevano occupato il terreno per pura necessità, ricordavano: “… già scrivemmo una lettera al sindaco della nostra bella città, chiedendo che legalizzasse la nostra situazione nel terreno; non vogliamo che ce lo doni, siamo disposti a pagarlo secondo le nostre possibilità. Lui non vuole aiutarci e ha messo il caso nelle mani del giudice. Il sindaco non vuol capire che noi rimarremmo coi nostri figli sotto i ponti, sui marciapiedi e sotto gli alberi..”.

Nel frattempo, tutta la popolazione della città accompagnava sui giornali il dramma degli abitanti della Baixa do Marotinho.

Il 24 febbraio, un gruppo di animatori delle comunità della Parrocchia, scriveva al sindaco: “I nostri fratelli della Baixa do Marotinho hanno sofferto molto, hanno speso gli ultimi soldi per realizzare il loro sogno di avere una casa propria (che adesso voi volete distruggere). Signor sindaco, pensi, rifletta molto sulla situazione di queste fa­miglie che saranno espulse, pensi a questi bambini che dovranno dormire all’aperto, e che sono il futuro del Brasile...”

Le continue assemblee in cui erano discussi i problemi e studiati i passi da farsi, l’appoggio della popolazione della città aumentavano negli “invasori” l’unione e la determinazione di lottare fino alla fine.

Natanael diceva che all’inizio aveva paura, ma ”adesso noi abbiamo fiducia nel­l’Associazione degli abitanti del quartiere, che ci dà orientamento e ci difende..”.

Pedro, che vive alla giornata, diceva: ”lo non ho paura che il sindaco demolisca le nostre baracche, chi ha fiducia in Dio non può avere paura, non gli può capitare niente di male. Dio Padre non permetterà che io rimanga coi miei figli senza tetto. Il sindaco non può fare quello che ha promesso. In nome di Dio non lo può fare! Cioè lui può anche farlo, ma c’è qualcuno superiore a lui...”

 

 

Atto finale 

Giovedì, 26 febbraio, gli abitanti del Marotinho ricevettero la visita di due ufficiali di giustizia accompagnati da dodici poliziotti, mentre una ventina, armati di mitraglia­trice, rimasero all’entrata dell’invasione. Molte persone furono prese dal panico e alcune donne svennero. Gli ufficiali di giustizia avvisarono che gli invasori avreb­bero dovuto abbandonare pacificamente il luogo; il municipio avrebbe messo a disposi­zione dei camion per trasportare il materiale (mobili, ecc…) dove volessero. Se gli ”invasori” non avessero obbedito, il giovedì seguente, alle 8 del mattino, il munici­pio avrebbe iniziato l’opera di espulsione, usando anche la forza.

Per quelli della Baixa do Marotinho, quest’anno non c’è stato carnevale. L’allegria spensierata, così comune nei Brasiliani, fu sostituita da una profonda tristezza.

 

    “Che importa che il municipio si preoccupi delle nostre case, dal momento che sloggerà vecchi e bambini e persone che con molto sacrificio riuscirono ad alzare quat­tro pareti, qui nel Marotinho...”.

 

Mentre l’avvocato stava dandosi da fare per smuovere il sindaco dalla sua deter­minazione, gli ”invasori” assicuravano che non avrebbero reagito a nessuna aggres­sione e che sarebbero rimasti dentro le case, malgrado le minacce dei funzionari del municipio che ”la ruspa passerà sulle case costruite..”.     Maria Dalva scrisse una let­tera al sindaco: “I figli degli abitanti che lei vuole buttare sulla strada dell’amarezza, saranno gli uomini di domani. Potranno essere sindaci, governatori o presidenti. Si ricordi che quando lei starà scendendo i gradini del potere, potrà incontrare uno di loro che sale...

     Si arriva così al giovedì 4 marzo. Gli invasori non hanno nessuna intenzione di resistere alla polizia, ma non obbediranno all’ordine trasmesso dal municipio. Aspette­ranno l’arrivo dei soldati con l’inaugurazione della prima scuola dell’invasione: la Scuola Buona Speranza ~, e con la bandiera nazionale che sventola all’entrata dell’ invasione. Molti bambini seduti sui banchi di scuola rappresentavano meglio di tanti discorsi il ca­rattere pacifico dell’occupazione del terreno e il desiderio di quella gente di avere una vita normale.

     Dona Elza, incinta di sette mesi, madre di cinque figli, va avanti prendendo tran­quillanti. La sua decisione è di non abbandonare a nessun costo la sua casa, costruita con tanto sacrificio: ”non lascio la casa, perché non ho nessuna intenzione di portare i miei figli sotto un ponte”

I giornali escono con titoli in prima pagina: “IL MUNICIPIO IMPLACABILE DI­STRUGGE IL MAROTINHO”    “UNA INVASIONE IN MENO NELLA CITTÀ” .  Il Jornal da Bahia, che normalmente appoggia il sindaco, nel suo editoriale ha parole dure: “a nessun amministratore è dato il diritto di porre la lettera fredda della legge sopra gli interessi umani legittimi”. “Nessuno, e ancor meno il sindaco, potrà avere la co­scienza tranquilla, dopo avere ordinato che le ruspe demoliscano centinaia di case che ospitano, non occasionali, ma capi di famiglie poverissime, donne, bambini, malati, persone che esigono dalla pubblica amministrazione un’attenzione maggiore, perché non hanno una casa dove abitare. Se questo è il diritto più elementare anche tra i selvaggi... che dire in una comunità civilizzata...?”

   Quando, alle nove del mattino di giovedì arrivarono nell’area della Baixa do Ma­rotinho 50 soldati della polizia e 14 camion del municipio, con cento operai per aiutare nel trasporto del materiale, una piccolo folla era ad attenderli. Con gli “invasori” c’erano i preti della parrocchia, l’abate di Sao Bento, deputati, i presidenti dell’istituto degli Architetti e del Club di Ingegneria, l’avvocato e molta gente dei quartieri vicini, accorsa per mostrare la propria solidarietà a quelli che erano minacciati di espulsione. C’erano anche reporters e fotografi dei giornali locali e dei maggiori giornali del sud, e ”locatori” delle radio baiane. I funzionari del municipio non si aspettavano certamente tanta gente ad aspettarli e per questo non si erano neppure preoccupati di richiedere al giudice l’ordine di espulsione con utilizzazione della forza. Di fronte all’avvocato che esigeva la presentazione di tale ordine scritto prima di dare inizio al­l’operazione, di fronte alla forza che l’unione di tanta gente mostrava, il maggiore

della polizia dichiarò che avrebbe dato ordine di demolire solo dietro presentazione del mandato giudiziario.

L’ordine non era stato ancora emesso dal giudice e perciò tutto fu trasferito al giorno successivo. Gli abitanti della Baixa sentirono che era stata ottenuta una piccola vittoria: il sindaco pensava di potere sloggiare più di 300 famiglie con facilità, ma aveva incontrato resistenza. Questa resistenza pacifica degli abitanti del Marotinho e di tutti quelli che si erano uniti a loro aveva provvisoriamente interrotto l’ordine di espul­sione. Avrebbero trascorso un’altra notte di incertezza. Alcuni pensavano che c’era an­cora speranza che il sindaco riconsiderasse la propria decisione ma questa speranza si faceva sempre più debole. Il sindaco aveva fatto del problema della Baixa un punto di orgoglio e di prestigio e di freddo principio, arrivando perfino a dichiarare che se non fosse riuscito a demolire l’invasione”  avrebbe presentato le dimissioni.

Riunendosi in fretta, la sera, gli invasori” prepararono una nuova proposta da pre­sentare al sindaco, come ultimo tentativo perché desistesse dalla decisione di distrug­gere il Marotinho. In questa proposta chiedevano che, oltre a sospendere l’azione di espulsione, il municipio facesse una lista completa degli attuali abitanti, controllasse se tutti erano veramente bisognosi, distribuisse poi dei lotti in un altro posto conce­dendo uno spazio di tempo tale che permettesse a tutti di trasferirsi dalla Baixa do Marotinho.

 

 

Venerdì 5 marzo

 

A niente servirono le proteste dei vari settori della popolazione, il pianto delle donne e dei bambini e neppure le due bandiere nazionali che sventolavano dall’alto della collina dell’invasione ·.

Gli abitanti della Baixa do Marotinho, più o meno 2000 persone (negli ultimi due mesi altre famiglie si erano aggiunte), furono così sloggiati da più di 100 operai del municipio, che si servivano di 15 camion per il trasporto dei mobili, sotto la prote­zione di 300 poliziotti. Nessuno sapeva dove sarebbero andate queste perso­ne. Il municipio aveva messo a disposizione un locale soltanto per depositare mobili e materiali di costruzione, ma molti preferirono non servirsi di questo “aiuto” per paura di essere derubati anche di quelle poche cose.

Ecco come si svolse l’espulsione: al comando di un colonnello, la truppa della po­lizia arrivò dopo le 8 dei mattino. I soldati circa 300 erano armati di fucili, mitraglia­trici e bombe lacrimogene. La loro missione, secondo il colonnello, era di garantire la vita degli operai del municipio. Sembrava una vera operazione di guerra, malgrado il nemico”  fosse una popolazione indifesa e senza alternativa.

Divisi in vari gruppi, i soldati circondarono tutta l’area, impedendo l’accesso agli estranei. Quelli che volevano entrare nell’area dovevano essere identificati e, se non abitavano nell’invasione, non potevano entrare. Solo ai giornalisti, ai preti della parrocchia, al gruppo degli amici era permesso l’ingresso, ma erano controllati a vista da elementi della polizia in borghese e della polizia segreta.

 

Dopo un po’ arrivarono gli ufficiali di giustizia con il mandato del giudice, sollecitando la forza della polizia per l’evacuazione dalle baracche. ”Giuridicamente tutto è in ordine”, disse l’ufficiale di giustizia, “ma umanamente non è tutto in ordine”. completò un  invasore.

Alle 9,10 tutto era pronto per l’inizio dell’operazione. Sul piazzale che domina dal­l’alto tutta la Baixa do Marotinho erano riuniti gli operai del municipio, incaricati di entrare in tutte le baracche e trasportare mobili e materiale fino ai camion, e gli uo­mini della polizia incaricati di mantenere l’ordine.

lì colonnello, dopo aver fatto leggere a voce alta l’ordine del giudice, intimò: “Si cominci l’operazione. Lasciate le bandiere sul posto, perché non fanno male a nes­suno. La scuola non si tocca”.   Senza pensare che ormai la scuola poteva anche essere distrutta perché una scuola non ha nessuna utilità in una ”favela” deserta. E ag­giunse: “Se qualcuno reagirà, saremo costretti ad usare la forza, il che per noi sarà molto sgradevole”.   Tante persone, compreso Paolo e i giornalisti, in quel momento drammatico, piansero.

Così il sogno di più di trecento famiglie svanì.

In gruppi di quattro, gli operai del Municipio cominciarono ad entrare nelle ba­racche, protetti da otto soldati armati. Gli operai cercavano di consolare gli abi­tanti: ”non siamo noi a volerlo, sono loro che lo vogliono”.

Analice, con un figlio di appena 15 giorni, non poteva alzarsi dal letto. Era in uno stato pietoso per le forti emozioni di quei giorni. Lei abitava in una baracca molto pic­cola, con la mamma, un fratello e tre figli: · Non ho un posto dove andare. Non ho ma­rito e mio fratello è disoccupato “. Più tardi su una barella senza lenzuola, era traspor­tata sul piazzale dove già erano accumulati poveri mobili, fornelli, vecchi vestiti...

Maurizio, un bambino magro, di cinque anni, di fronte alla disperazione della mamma vedova, che con gli altri tre bambini piangeva davanti alla casa vuota, da un momento all’altro si trasformò in un uomo già fatto e corse in difesa della propria fa­miglia. Con un sasso in mano, gridando parolacce. tentò invano di resistere all’azione degli operai che ritiravano le ultime cose rimaste. La reazione del bambino commosse tutti quelli che erano presenti. Alla fine, impotente, si avvicinò alla mamma e ai fra­telli, non piangeva più e i suoi occhi erano pieni di odio. Non comprendeva perché la sua mamma non avesse diritto ad una casa.

Una vecchia di 80 anni, seduta su una sedia, non riusciva a rendersi conto di quello che stava succedendo.

In mezzo alla disperazione, Elza contemplava la sua casa che stava per essere demolita: Solo il Signore sa come abbiamo faticato io e mio marito per costruire la nostra casina. Tutto questo è costato molte notti senza dormire e adesso siamo sulla strada..”. “È la fine del mondo, è la fine del mondo - diceva un soldato davanti ad una donna abbracciata ai suoi figli- lo sono un miserabile come voi,... ripeteva.

Mentre nella Baixa do Marotinho tutto procedeva secondo l’ordine del giudice, ese­guito da cento operai e da trecento poliziotti, un gruppo di “ invasori “, accompagnati dall’avvocato e dall’abate di Sao Bento tentavano inutilmente di incontrarsi col sindaco perché recedesse dal suo proposito, accettando la proposta formulata dalla commissione il          giorno prima.

La proposta alla fine fu consegnata al Cardinale che nel primo pomeriggio, dopo aver ricevuto di nuovo i preti della parrocchia, si incontrò col sindaco e col governa­tore. Il cardinale insistette in tutte le maniere, ma il sindaco affermò che era prati­camente impossibile modificare la sua posizione. “Alla fine confessò lo stesso cardinale non potevo più insistere di fronte ad una posizione che rifletteva una men­talità rigida di un burocrate. Il sindaco è sicuro di avere preso il cammino giusto come amministratore”. Anche l’ultima speranza cadeva.

I giornali che continuavano a parlare del fatto con titoli che mostravano la coster­nazione e la protesta della città intera, mettevano in evidenza allo stesso tempo che il municipio aveva speso Cr. 1.400.000,00 (Lit. 100 milioni) per abbellire la città durante il carnevale e che analoga spesa era stata fatta dal Governo dello Stato.

 

 

La demolizione continua

 

Nelle giornate di sabato 6, domenica 7 e lunedì 8 marzo, continuò l’espulsione de­gli invasori”, e la demolizione delle case.

Il clima nella Baixa do Marotinho era di grande desolazione.

Centinaia di persone dormivano all’aperto, vicino ai propri mobili. Ormai erano gli stessi abitanti a demolire le case, per tentare di recuperare qualcosa del materiale da costruzione.

Per facilitare il movimento dei camion che trasportavano mobili, legname e te­gole, una ruspa aprì in poche ore una larga strada. “Il sindaco dicevano gli ex baraccati non ha voluto far niente per aiutarci, adesso apre una strada per facili­tare la nostra espulsione!”.

Verso le ore 16 di sabato, il Cardinale arrivò alla Baixa do Marotinho” per ren­dersi conto personalmente della situazione e dare la sua solidairietà ai senza-tetto; era accompagnato da d. Renzo e d. Paulo che molto avevano fatto per assistere gli abi­tanti dell ‘invasione. La presenza del cardinale servì anche di appoggio ai sacerdoti della parrocchia che erano stati accusati, al mattino, dalla polizia in borghese, come“agitatori” .

A Paulo, nella stessa mattinata di sabato, era stato infatti proibito di entrare in contatto con la sua gente, ragion per cui si era sparsa tra gli stessi invasori” la no­tizia del suo arresto. Fu necessario che Renzo. dopo avere ottenuto a fatica dal co­lonnello il permesso di visitare le famiglie, passasse di famiglia in famiglia per assi­curare gli “ invasori” che la notizia era falsa. Tanti piangevano...

Il Cardinale volle sapere dal rappresentante del sindaco quale era il destino di tante famiglie rimaste senza tetto. La risposta tranquillizzante e ottimistica del fun­zionario fu smentita dai vari invasori. Non era vero che tutti avevano trovato un nuovo tetto, molti avevano dormito all’aperto, molti si erano rifugiati in baracche, già troppo piccole. di parenti e amici...; molti avevano perso il lavoro per essere rimasti as­senti vari giorni perché non me la sentivo di lasciare mia moglie e i miei bambini qui da soli in mezzo al pericolo..”

Domenica pomeriggio la Baixa do Marotinho si presentava come una città dopo il terremoto. Il silenzio che regnava in tutta la vallata era rotto dal motore delle ru­spe che demolivano le case che ancora erano in piedi e dai colpi di martello dei nuovi senza-tetto che cercavano di recuperare un po’ del materiale, con la speranza di riu­scire ad ottenere un nuovo pezzo di terra e costruire così una nuova baracca.

Alcuni abitanti, ormai senza casa, chiedevano un po’ a tutti, ai soldati, agli abi­tanti dei quartieri vicino, alle persone che si trovavano nel luogo, qualche soldo per comprare un po’ di pane per i bambini o per andare in cerca di una casa d’affitto. La solidarietà, che la popolazione di Sao Caetano e Fazenda Grande diede, evitò che ci fossero scene di grande disperazione. In mezzo a tanta desolazione un uomo, padre di otto figli, impazzì. Aveva visto la ruspa avanzare per distruggere la sua casa, e seppur circondato da soldati gridava che era disposto a morire, ma prima voleva ucci­dere il sindaco...

Dramma ancor maggiore fu quello di Josè. Lavorava in una impresa di costruzione a Feira di Santana (120 km da Salvador) e non sapeva quello che stava succedendo nella Baixa do Marotinho dove aveva la sua baracca. Con una borsa piena di viveri si era avvicinato e aveva cercato la sua famiglia: la moglie e sei figli erano spariti. La ba­racca era stata distrutta e nessuno sapeva dargli informazioni. Buttò la borsa per aria e andò via correndo e piangendo.

       In questa desolazione faceva impressione la tristezza di quegli uomini così allegri prima, così comunicativi. Molti lavoravano per demolire le proprie case e... piangevano. Aiutavano i vicini, cercavano di farsi coraggio a vicenda... Si capiva che la comunità della Baixa do Marotinho malgrado le contrarietà e il dramma, rimaneva ancor più unita.

Tra tanta tristezza c’era sempre la ferma decisione di continuare a lottare, fino alla fine.

E tutti ricordavano agli altri che il lunedì sera ci sarebbe stata, come sem­pre l’assemblea. lì discorso comune era questo: ”Abbiamo lottato, abbiamo resistito, per ora siamo stati sconfitti, ma non vogliamo che la sconfitta sia definitiva, voglia­mo continuare a lottare fino alla vittoria” . Diceva uno degli invasori: Il sindaco è riuscito a distruggere le nostre case, ma non riuscirà a distruggere noi e la nostra unione!..”.

Gli invasori, che avevano finora dimostrato di essere una vera comunità, con­tinuavano a resistere con la non-violenza dei poveri e con il coraggio della speranza.

L’abate di Sao Bento che aveva accompagnato tutto il dramma ed era stato an­che fisicamente vicino agli invasori, dichiarò ai giornali: Adesso, quello che più mi rattrista è la sorte dei membri della comunità del Marotinho, che era una comunità umana che aveva invaso un terreno pubblico spinta dalla necessità radicale di una casa dove abitare. Questa da sola è una legge del diritto naturale e si situa al li­vello proprio della sopravvivenza umana. Marotinho era una comunità vera con i suoi capi e cosciente dei suoi diritti. Lamento profondamente la distruzione e la disper­sione di questa comunità e credo che la società non debba ignorare il problema, ma cercare i mezzi legittimi perché il potere pubblico faccia il suo dovere. E uno dei doveri del potere pubblico è la difesa dei deboli”.

Il Consiglio dei Rappresentanti degli Studenti dell’Università Federale di Bahia manifestò in una nota ufficiale la sua posizione di fronte a questo dramma: ”Il po­polo baiano è rimasto traumatizzato dalle recenti aggressioni sofferte dagli abitanti dell’ invasione del Marotinho. Ancora una volta, la violenza e l’arbitrarietà delle autorità sono utilizzate per andare contro gli interessi del popolo”.   Dopo aver ricor­dato la via crucis sofferta dalla gente del Marotinho aggiungevano: “Gli operai del municipio e gli stessi soldati della polizia manifestarono la loro rivolta di fronte agli ordini ricevuti. In fondo anche loro soffrono le conseguenze dei bassi salari. Di fronte all’appoggio e solidarietà che prestavano agli .invasori la polizia reagì mi­nacciando i sacerdoti e membri del partito di opposizione, e bastonando un giorna­lista. Mentre avvengono queste aggressioni, non conosciamo nessuna misura da parte delle autorità contro la fame, la mancanza di abitazioni popolari, l’abbandono dei bam­bini, la disoccupazione, la estrema miseria che da sola è una violenza. Violenza so­prattutto perché tale miseria e impoverimento crescente della popolazione si realizza con l’arricchimento di una minoranza. Cresce, ogni giorno più forte, l’indignazione dei Brasiliani di fronte al diffondersi della violenza utilizzata dalle autorità per spegnere la lotta del popolo in favore dei suoi diritti. Recentemente, noi studenti, quando in sciopero lottavamo contro le pessime condizioni dell’insegnamento, abbiamo assistito all’invasione dell’università da parte dello stesso apparato poliziesco che oggi è lan­ciato contro la gente del Marotinho. Di fronte a questi fatti, gli studenti baiani ma­nifestano totale solidarietà agli abitanti del Marotinho, e comprendendo che il proble­ma dell’ invasione, invece di essere risolto, si è aggravato, vedono la necessità di assumere insieme una presa di posizione, capace di far fronte a questo stato di cose”.

In un articolo di giornale, un padre gesuita, professore di filosofia all’università federale di Bahia, dopo aver ricordato che sopra le leggi esistono i diritti universali, inalienabili e inviolabili, affermava che: “se famiglie affamate e senza tetto si ap­propriano di un terreno pubblico per sopravvivere, non commettono una invasione, ma fanno valere un loro diritto primario, quello cioè di usare dei beni di questa terra. Invasione sarebbe quando qualcuno, avendo possibilità di comprare un terreno, oc­cupasse un terreno altrui, per pigrizia o per cupidigia. Questi principi non sono co­munisti, ma provengono dalla dottrina dei Padri più antichi della Chiesa... È chiaro che ci potrà essere chi se ne approfitta, ma questo non impedisce che esistano ca­si in cui questi principi possano essere legittimamente applicati. E questo è il caso del Marotinho. Perciò l’espulsione realizzata alcuni giorni fa non può essere affatto dichiarata come giuridicamente perfetta , a meno che non si qualifichi come giuri­dico un legalismo formale e meschino. Il municipio non ha il diritto di espellere dal­le baracche e buttare sulla strada uomini, donne e bambini che non hanno un posto dove abitare, il terreno che occuparono in una situazione disperata è loro, qualsiasi cosa possa allegare la giurisprudenza umana. Sarebbe desiderabile che mai si arri­vasse a questo punto cosi tragico per i poveri, per le autorità e per la stessa so­cietà. I poteri pubblici devono prevedere e programmare queste operazioni di trasfe­rimento. C’è tanta preoccupazione e si spendono tanti soldi per preparare il carne­vale...: perché non si dovrebbe usare almeno un’attenzione uguale per preparare le espropriazioni...? Un aggruppamento di case qualsiasi che deve essere trasferito non può essere considerato come un terreno incolto dove la ruspa entra liberamente, abbattendo alberi e facendo fuggire gli animali. Ma soprattutto che mai succeda che il potere pubblico metta sul lastrico quelli ai quali per dovere- esiste infatti per que­sto- deve offrire condizioni umane di vita”..

 

 Vittoria!

 

Il lunedì sera all’assemblea c’erano quasi tutti i senza-tetto della Baixa do Marotinho. Il clima però non era di disperazione.., c’era fiducia e speranza. Quel po­meriggio infatti alcuni assistenti sociali del Governo di Stato avevano cercato di met­tersi in contatto con i senza-tetto avvisandoli che il governatore aveva deciso di cedere, a carattere provvisorio, dei lotti per quelli che erano rimasti senza casa.

La notizia, che dapprima sembrava assurda, fu confermata e il giorno dopo un gruppo di assistenti sociali chiedeva che la chiesa di Fazenda Grande, che finora era servita come sede per le assemblee, servisse ora come ufficio del governo per la distribuzione dei documenti che dessero diritto a ricevere i lotti.

Sorsero immediatamente delle difficoltà: il governo non aveva una relazione com­pleta degli abitanti del Marotinho, l’unica lista (ricavata dalla ricerca fatta dalla par­rocchia in gennaio) non era completa perché alcune famiglie in quel mese non erano presenti: erano arrivate sul luogo da poco tempo.

Malgrado queste difficoltà, aumentate dal fatto che i lotti previsti erano appena 150 (le famiglie erano più di 300...) il clima era di euforia. Con il succedersi delle assemblee tutti ormai erano d’accordo di rimanere uniti per continuare la lotta ed ottenere così piena vittoria in modo che tutti gli invasori ricevessero un pezzo di terreno e questo venisse successivamente urbanizzato.

Perché il Governatore aveva preso questa decisione, in contraddizione con la posi­zione del sindaco? La cosa risulta ancor più enigmatica se si pensa che il sindaco è nominato di autorità dallo stesso Governatore e quindi si tratta di una persona di sua fiducia.

E perché il Governatore aveva preso questa decisione solo dopo che gli invasori erano stati espulsi? Se l’avesse presa prima avrebbe eliminato l’impressione di insensibilità e disumanità dell’autorità e si sarebbe presentato come l’amico del po­polo povero.

lì motivo è che l’autorità municipale e dello Stato non si aspettavano una reazione così generale e massiccia. Non solo i giornali locali, ma anche quelli del sud - Rio e Sao Paulo - avevano parlato ogni giorno del dramma del Marotinho e dell’insensibilità delle autorità!

Alla fine l’opinione pubblica era stata colpita dalla ragione profonda del popolo. L’etichetta che il municipio voleva dare agli ”invasori” di profittatori, di gente mossa da agitatori, si è dimostrata completamente falsa e infondata ed è perciò stata respinta. Il popolo con la sua “non-violenza” ha saputo dare una lezione e ha saputo vincere la violenza dell’apparato poliziesco. E il governatore, preoccupato per le ele­zioni del novembre prossimo, nella previsione che il partito di opposizione potesse approfittare della situazione a proprio favore, ha preso una decisione all’ultima ora ed ha così riconosciuto, sia pure in ritardo, che il popolo aveva ragione.

La decisione del governatore non è stata una iniziativa, un regalo: è stata vera­mente una vittoria conquistata dal popolo. Il popolo della Baixa do Marotinho non aveva mai perso la speranza e adesso si è accorto che una lotta serena dà sempre dei risultati. Quello più evidente sono i lotti di terreno ricevuti, ma c’è un risultato più profondo e che non si può misurare: la coscienza della propria forza, il sentire che durante tutto lo svolgersi dei fatti e della lotta i poveri non sono mai rimasti soli: tutta la città ha partecipato alla loro sofferenza e alla loro speranza.

Gli invasori” in ogni circostanza, anche quando erano circondati dalla polizia, anche quando le loro case, costruite con tanto amore e sacrificio, venivano distrutte hanno sempre dimostrato una grande maturità.

Escono adesso da questo episodio doloroso come vincitori e con un bagaglio prezioso di esperienza per continuare le proprie giuste rivendicazioni di fronte al di­ritto alla vita.

Domenica scorsa siamo stati nel terreno che il governo ha dato per costruire di nuovo le baracche. C’era grande animazione. Tutti al lavoro per preparare il terreno, per impiantare i pali che erano stati recuperati nella demolizione. Cominciava una nuova tappa nell’esistenza di questi uomini marcati dalla sofferenza.

Per noi che abbiamo accompagnato da vicino la lotta, che abbiamo sofferto e spe­rato, rimane questa grande lezione: il popolo unito non sarà mai vinto! Ci sarà la scon­fitta del venerdì santo, l’angustia del sabato, ma arriverà poi anche la gioia dell’alba di Pasqua: Cristo ”libertador”, continua così la sua Passione e la sua Risurrezione attraverso i poveri. E in loro la speranza non morirà mai.