PROFILO DI DON PAOLO 

Paolo Tonucci nacque a Fano, nelle Marche, il 4 maggio 1939 e venne ordinato sacerdote nel 1962.

Avendo maturato la vocazione missionaria, fu tra i primi italiani a giungere in Brasile come prete diocesano. Come don Renzo Rossi, venne destinato alla parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe, a Salvador.

Don Renzo, che gli fu compagno di missione per tanti anni, lo ricorda giovanissimo, dato che Paolo non dimostrava nemmeno i soli ventisei anni che aveva.

Era andato in Brasile credendo in un progetto di missione profondamente nuovo, per il quale sentiva una vocazione particolare.

Quando ancora non si parlava di inculturazione del Vangelo, Paolo Tonucci già operava in questa prospettiva:

 

«Noi non andiamo in Brasile a portare qualcosa, ma a vivere con loro il Cristianesimo. E vivere il Cristianesimo come loro lo vedono, lo sentono, come Dio vuole che loro lo vivano. Perché evidentemente il Cristianesimo è una vita troppo ricca per essere vissuta in pienezza da tutti nella stessa maniera. Ogni popolo lo vivrà come è capace, perché è Dio che gli dà questa capacità. E i brasiliani scopriranno come vivere il Cristianesimo vivendolo e tentando di viverlo ogni giorno, e noi lo scopriremo con loro, in un atteggiamento di gente che cerca, che non sa, che non ha, che è sempre disponibile»

 

Il contatto con i brasiliani poveri della Bahia lo arricchì e lo cambiò profondamente.

Partendo dall’Italia era convinto di dover fare qualcosa per gli ultimi. Giunto in terra di missione si accorse che invece era lui a ricevere molto dal popolo umiliato e oppresso di Salvador.

Ben presto percepì che vivere la missione significava mettersi al servizio degli altri, difendendo i diritti degli oppressi e scoprì poco a poco quanto c’è di buono e di valido nella semplice religiosità popolare dei brasiliani che tanto spesso trova espressione nella festa, dove Dio è presente anche quando i preti non sono presenti.

Durante la sua esperienza missionaria a Bahia imparò ad ascoltare il popolo, rendendosi conto che il brasiliano, questa mescolanza di etnie e culture diverse, ha una profonda ricchezza interiore, nonostante i genocidi e gli etnocidi perpetrati nel corso dei secoli dai conquistatori europei (e nordamericani) di ieri e di oggi.

Dalla testimonianza di alcuni membri deI Movimento Familiare Cristiano, pubblicata su «Atuaçao», bollettino del M.F.C., n. 80, marzo-aprile 1995, p. 27.

«Dove c’era un perseguitato, un fuggitivo, un ricercato, Paolo era presente. Accogliendo, confortando, nascondendo. A fianco dei piccoli e degli abbandonati, sempre c’era Paolo. Dove crollava una baracca, dove mancava cibo e assistenza, insieme alle vittime dell’ingiustizia, a fianco degli “invasori” e dei disoccupati, sempre Paolo era presente. Contestatore, sfidava i potenti e l’arbitrio; non confor¬mandosi all’ingiustizia sociale di questa società perversa, difendeva i perseguitati, gli abbandonati e i nullatenenti».

 

Per sedici anni don Paolo operò nella parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe, e particolarmente nella favela di Fazenda Grande, a stretto contatto con don Renzo Rossi.

Ben presto, per rispondere alle esigenze dei poveri del quartiere, realizzò una scuola professionale, la scuola Primo Maggio.

Nel corso di molti anni la scuola formò un gran numero di giovani e insegnò a tanti a leggere e a scrivere.

Soprattutto ai tempi della dittatura la scuola si trasformò in un centro di incontri, di dibattiti politici, un centro di solidarietà e di resistenza.

Il lavoro con la scuola, la difesa dei favelados ricorrentemente espulsi dalle forze dell’ordine lo spinsero a frequentare persone e gruppi legati all’opposizione: operai, studenti, liberi professionisti, cattolici e marxisti. Con tutti stabili legami di amicizia e di reciproco rispetto in questa lotta comune contro uno stato strutturalmente ingiusto.

Anni duri, difficili ma anche eroici per la Chiesa; è il periodo in cui prende piede in Brasile la teologia della liberazione, nata alcuni anni prima, sotto la spinta di molti teologi tra cui spiccano Leonardo e Clodovis Boff .

Alla metà degli anni ‘70 don Paolo Tonucci fondò i Gruppi di Evangelizzazione nella periferia della città. Questa iniziativa che continua tuttora, era finalizzata allo sviluppo delle CEB (Comunità Ecclesiali di Base) a Salvador sul modello di Chiesa della comunità di Recife del cardinale Hélder Camara.

Il coordinamento di questi gruppi nacque proprio in casa di Paolo, a Fazenda Grande, e la loro attività prese corpo in quindici parrocchie di periferia.

Paolo aveva un modo di fare diretto, anche duro; le cose le dice¬va in faccia. Questo contribuiva ad alienargli le simpatie dei settori moderati della Chiesa locale. Le sue iniziative erano considerate estremiste.

 

Un episodio esemplare che testimonia l’insostituibile impegno militante di Paolo all’interno dei movimenti popolari degli emarginati di Bahia è stata la lotta combattuta fianco a fianco degli invasores del Marutinho.

Nel 1976 trecento famiglie di senzatetto in brevissimo tempo invasero un terreno comunale in una zona chiamata Marutinho e costruirono le proprie povere baracche.

Il sindaco ordinò loro di andarsene, ma gli “invasori” resistettero. Di fronte al loro atteggiamento vennero inviati centinaia di militari, armi in pugno. Don Paolo Tonucci e don Renzo Rossi intervennero in difesa di quella povera gente, in procinto di subire l’ennesima oppressione. Il primo venne subito bloccato dai militari, ma il secondo, pur sotto la minaccia delle armi, riuscì ad entrare nella zona proibita.

Questo gesto di coraggio, che nell’immediato sembrò un rischio inutile (gli “invasori” infatti furono allontanati e le loro baracche distrutte) ebbe invece conse¬guenze positive per i favelados di Bahia.

Innanzitutto la gente del Marutinho ottenne dal comune un’altra zona dove edificare le proprie case con materiali forniti dall’amministrazione comunale. Non solo: da allora è in vigore a Bahia una legge non scritta la quale prevede che se si verifica un’invasione illegale gli occupanti hanno tre mesi di tempo per organizzare, a spese del comune, lo spostamento delle proprie baracche in uno spazio appositamente concesso.

 

Nel 1981 Tonucci andò a Camaçari, una cittadina industriale a cinquanta chilometri da Salvador, in qualità di vicario, nell’unica parrocchia esistente. Qui svolse la sua missione pastorale in stretto contatto con la classe operaia.

Pur rifiutando qualsiasi incarico a livello politico, svolse un ruolo ‘ di primo piano nelle trasformazioni attuate dal comune, entrando talvolta in conflitto con le scelte degli amministratori.

Crediamo opportuno riportare la bella testimonianza su don Paolo Tonucci che ha rilasciato Humberto Enrique Garcia Hellery, sindaco di Camaçari, durante le commemorazioni del primo anniversario della morte del missionario italiano, una testimonianza tanto più significativa in quanto viene da una persona che ebbe frequenti scontri con Paolo.

«Con le autorità, anche con me, entrava in contatto per rivendicare miglioramenti a favore della gente. Non chiedeva: reclamava diritti negati in una società ancora tanto ingiusta. Conversava con le autorità mettendosi sempre dalla parte degli abitanti dei vari quartieri. Era un organizzatore del popolo, oltre ad essere un evangelizzatore.

Il mio compito di servire il popolo l’ho svolto nell’esercizio di diversi mandati esecutivi. E una missione spinosa, come tutti sanno. Non furono poche le volte che Padre Paolo mi criticò, né poche le volte che le sue critiche mi aiutarono a correggere la direzione, mi furono utili per lo svolgimento corretto del “munus” di governare.

Vite come quella di Paolo fanno l’esistenza umana più bella e infinita. Ci ricordano che in un mondo profondamente segnato dall’egoismo, dallo spirito competitivo che non riconosce il prossimo, dal predominio del mercato e della merce, possono ancora nascere persone che si lasciano inquietare dalla miseria, dalla fame, dall’esclusione di milioni di esseri umani dai benefici dello sviluppo.

Vite come quella di Padre Paolo sono eterne. Perché di lui si parlerà sempre. E sempre si dirà che seppe amare e che, sapendo amare, fu felice. Ed essendo felice fu umano, essendo umano si mantenne vicino al Creatore, unito a Cristo, il quale desidera che gli uomini non ignorino il prossimo ma lo amino. Riposa in pace, Padre Paolo»

 

Il suo impegno preferenziale per i poveri può essere riassunto in una sua frase ricorrente:

“Fare in modo che il regno di Dio arrivi a Camaçari, questo è un lavoro da formica basato su tre attività: la formazione delle CEB, l’appoggio ai movimenti popolari, i servizi di assistenza” .

 

La sua parrocchia sostenne sempre gli scioperi dei lavoratori e don Paolo si rifiutò di benedire fabbriche, banche, centri commerciali.

“Non sono d’accordo nel dare benedizioni senza seguire criteri precisi — affermava— se benedicessi una fabbrica che sfrutta i lavoratori sarei complice dell’ingiustizia”

In tutte queste situazioni vissute con partecipazione personale Paolo non smetteva mai di sentire la sua missione di sacerdote.

«Mi sento sempre prete — affermava — impegnato ad evangelizzare, sia quando officio la messa o annuncio la parola di Dio, sia quando appoggio la lotta dei senza tetto, quando lenisco le sofferenze dei disoccupati, quando manifesto solidarietà con gli operai in lotta per migliorare le proprie condizioni 4i vita o quando faccio amicizia con studenti universitari o con professionisti in cerca di nuovi ideali e strade da percorrere»

 

L’impegno come parroco di Camaçari era molto forte, ma don Paolo non smise mai di lottare sul versante dei diritti umani, a livello più ampio.

Così nel 1983 (la fine della dittatura era ormai prossima) assieme a molti amici promosse all’interno della diocesi di Salvador la Commissione Giustizia e Pace, che svolse negli anni seguenti un lavoro esem¬plare, come venne più tardi riconosciuto anche a livello ufficiale.

Nel maggio del 1993, decimo anniversario della fondazione della Commissione, la Sessione speciale dell’Assemblea legislativa dello Stato di Bahia, attraverso le parole del deputato del Partito dei Lavoratori Nelson Pellegrino, fece una menzione speciale di Paolo Tonucci, presente alla commemorazione.

 «In questo momento — affermava Pellegrino — la nostra iniziativa di convocare questa Sessione speciale è dovuta al fatto di voler dare un doveroso omaggio alla Commissione Giustizia e Pace, aiutarla a rendere nota la sua attività e rendere un giusto riconoscimento a padre Paolo Tonucci, perchè in questo paese di ingiustizie sociali profonde è con commissioni come questa, con organismi come questi che il popolo, questa immensa massa di brasiliani poveri, ha l’opportunità di conquistarsi una vita migliore»

 

Per trasmettere questi valori e far sì che il popolo diventasse protagonista della sua storia, cominciò a preparare testi e piccole pubblicazioni per il popolo.

Sono quaderni che trattano di religione, catechesi, Bibbia, storia del Brasile e dei popoli precolombiani. Un materiale che scaturì dal nulla, nato dalla necessità di aiutare la gente semplice a conoscere la storia, la teologia, la religione.

In occasione di un incontro del 1988 di CEHILA Popular Don Paolo Tonucci affermava:

«Perché produrre pubblicazioni popolari? Perché il popolo non co¬nosce la sua storia. La ricerca ufficiale presenta una storia che si è caratterizzata per essere al servizio del sistema e per la sua superficialità.  Sono i ricchi, i potenti che lasciano abbondanti fonti storiche sia attraverso lettere, sia attraverso documenti commerciali, sia grazie all’apparato statale.

Sono esclusi dalla storia gli emarginati, i ribelli, i lavoratori, le donne, gli schiavi, i bambini.

Di fronte a questo modo di raccontare la storia tentammo di reagire. La nostra iniziativa fu, inizialmente, più di qualche persona che di una vera e propria équipe.

È interessante notare che all’inizio non suscitò molto interesse, e neppure molta preoccupazione nelle autorità ecclesiastiche perché la nostra storia scritta su quadernetti è considerata di seconda o terza categoria»

 

Nelle sue molteplici iniziative don Paolo incontrò difficoltà di ogni genere, ma proprio di fronte all’insuccesso rivelò le sue doti più autentiche di rivoluzionario che sa condurre a fondo una guerra apparentemente persa in partenza. Identificandosi col servo inutile del Vangelo, l’impaziente Paolo si era reso consapevole che è pura illusione pensare di cambiare dall’oggi al domani una situazione di ingiustizia e di oppressione:

«Vorremmo vedere subito i frutti di quello che stiamo seminando, quando lo stesso Gesù ci previene che uno è chi semina, un altro chi raccoglie... Come è possibile modificare una struttura che si è formata durante secoli? Poi è sempre bene ricordarsi che una “rivoluzione” non cammina in linea retta, ma per zig zag continui...

E il cambiamento che ne verrà fuori non sarà la nostra “rivoluzione”, frutto delle nostre elucubrazioni intellettuali, dovrà essere la “rivoluzione” del popolo. Da parte nostra ci deve essere una speranza, la speranza che qualcosa può cambiare, speranza che per noi cristiani si fonda sulla resurrezione di Gesù.

…... È per questo che in noi deve esistere fondamentalmente un vero ottimismo. Ottimismo che è una forza vitale, una energia di speranza, quando gli altri rinunciano, una resistenza che ci fa mantenere la testa alzata, quand’anche tutto sembra che voglia rovesciarsi, una forza che non vuole mai consegnare all’avversario il futuro, ma lo esige per sé in un impegno di costruirlo. Ottimismo anche quando tutto cade, quando sembriamo degli eterni illusi. Un ottimismo che si fonda nella fede che abbiamo nell’uomo, quell’uomo concreto con cui ci incontriamo perché l’uomo è già risorto in Cristo.”

 

Il 19 ottobre 1992 il Comune di Fano concesse a don Paolo il premio  “La Fortuna d’oro”, per sottolineare il lavoro svolto e i meriti acquisiti.

Alle parole del Sindaco, Giuliano Giuliani, Paolo rispose con un discorso, nel quale delinea la sua vita ed i principi che hanno guidato la sua opera come missionario. Conclude dicendo:

"Mi è stato fatto osservare che molte volte, presentando la realtà in cui vivo, la dipingo con colori un po' neri, trasmettendo un certo pessimismo. È evidente che le cose non vanno bene: la povertà della gente povera aumenta sempre di più, la spogliazione del paese, del continente è sempre maggiore, non si vedono segnali di speranza all'orizzonte. Ma malgrado tutto noi abbiamo una speranza. Siamo dei testardi, la nostra è la speranza del chicco di grano che deve essere messo sotto terra e morire per dare frutto. La speranza che viene alimentata dalle piccole vittorie del popolo che si organizza per esigere i propri diritti, dalle comunità ecclesiali di base, dove la vita cristiana è gestita dai laici, dove persone analfabete animano il culto, spiegano il Vangelo, organizzano l'aiuto ai fratelli. Personalmente ho speranza e per questo ritorno in Brasile, per questo da 27 anni sono laggiù.

Mi è stato fatto osservare che a volte quello che dico può scandalizzare, rivelando errori che sono stati commessi dalla Chiesa (per esempio sulla schiavitù, nei 500 anni della conquista). Ebbene, non ho paura di parlare di queste cose perché vedo che la gente capisce, anche in Brasile; la gente è capace di comprendere e l'amore alla Chiesa diventa così più adulto, più maturo, più responsabile, direi più cristiano. Sugli errori commessi nel passato dobbiamo riflettere per non ripeterli oggi. E poi non dobbiamo mai aver paura della verità. E qui mi piace ricordare San Gregorio Magno che diceva: "È meglio suscitare uno scandalo che tacere la verità".

 

Il 13 Agosto 1993, Paolo lasciò una prima volta il Brasile e tornò in Italia, per sottoporsi alle cure mediche necessarie per combattere il tumore dal quale era stato colpito. Prima di partire, incise questo messaggio di saluto. 

"Oggi, mentre state ascoltando questo programma, io sto già viaggiando e ho lasciato il Brasile. Sto andando nella mia terra per sottomettermi a una operazione, per curare la mia salute. Ma ho voluto incidere questo programma per restare in mezzo a voi proprio fino alla fine.

Auguro come sempre un giorno felice per tutti: che per tutti noi il giorno di oggi sia benedetto da Dio, che ognuno di noi oggi cerchi di incontrarsi con i fratelli, con quelli che condividono la nostra vita. Che oggi sia un vero incontro, un incontro di pace e di molta felicità.

Ogni tanto nella nostra vita accadono cose che ci colpiscono molto: una malattia, la perdita di una persona cara, un incidente, qualsiasi cosa. Ma noi cristiani, anche se sentiamo queste deficienze e infermità, dobbiamo mantenere sempre il coraggio, la fiducia, perché Dio è Padre. Egli sta sempre al nostro fianco, non si allontana mai da noi anche quando noi ci allontaniamo da lui. Egli resta vicino a noi per darci la grazia, la forza, l'energia, il coraggio di cui abbiamo bisogno per non scoraggiarci di fronte alle difficoltà.

Vorrei chiedere a Dio che tutti possiamo avere questo stesso coraggio. Siamo divisi ora da chilometri di distanza, ma penso che ogni volta che ci uniamo nella preghiera, quando stiamo pregando e ascoltando la Parola di Dio siamo vicini, perché Dio è al di là di ogni distanza e ascolta le nostre suppliche in qualsiasi posto siamo. Dio è Padre, non si allontana mai da noi e sempre ascolta le nostre preghiere, le nostre suppliche."

 

Durante la sua permanenza nell'Ospedale di Bologna, verso la fine di Settembre 1994, Paolo incise faticosamente questo ultimo saluto per i parrocchiani di Camaçari. Fu ascoltato in Brasile il 10 Ottobre, dopo la morte di Paolo.

 "È con profonda emozione che mi rivolgo a voi, amici miei, dopo un lungo periodo di silenzio. Sono nell'ospedale per affrontare la seconda tappa del trattamento contro il cancro.

È un periodo abbastanza duro ma sono tranquillo e offro a Dio le sofferenze. Siamo uniti anche alle sofferenze di Cristo e di tutti i fratelli, sapendo che hanno un valore immenso davanti a Dio.

Spero che quello che stiamo facendo ora abbia un valore molto grande.

Vorrei trasmettervi la gioia che sento in questo momento nel comunicarmi con voi, con molta gratitudine verso di voi. Un bacio e un abbraccio."

 

Paolo Tonucci si spense nell’ottobre del 1994

L’amica Betty nel giorno stesso della sua morte scrisse su di lui una breve poesia nelle cui parole tanti possono riconoscersi:

 

A Paolo che vive perché

seminò dove la terra è arida,

diede il sorriso dove il sorriso è vita,

insegnò a scoprire Dio dove Dio non si vede,

diede giustizia a chi mai la ricevette prima,

trasmise la forza di un amore senza confini e limiti

di tempo a quel gran numero di esseri umani

che lo ascoltarono e lo amarono;

sempre così ti ricorderò!

E sempre sarai presente come una grande e indispensabile luce!